TALK BOX
Consente di modulare, attraverso un tubo di plastica infilato in bocca, il suono di uno strumento, solitamente la chitarra, con quello della voce umanizzandone il suono. L’effetto è simile a quello del wha (o anche del didgeridoo), l’espressività del pedale viene realizzata da quella più diretta del movimento della bocca e inoltre si possono far sentire le parole. Il lavoro del filtro lo fa quindi la bocca modificando la sua forma. Il risultato può ricordare quello del vocoder che però è invece un vero e proprio (robotico) effetto di sintesi.
La talk box contiene un altoparlante per i toni acuti particolarmente efficiente detto driver a compressione, in cui viene inserito il famoso tubo vinilico che poi va in bocca, il suono dello strumento (chitarra o sintetizzatore o altro), dopo essere passato per il driver entra nella bocca dove viene modulato per poi essere ripreso da un microfono e quindi essere convogliato all’amplificazione.
Modelli di punta per questo effetto sono l’Heil Talkbox della Dunlop, il Rocktron Banshee 2, l’Electro-Harmonix Golden Throat e la solita agile e pratica MXR M222 Talk Box.
Tra i primi nella musica moderna ad usare la talk box, abbiamo il pioneristico Stevie Wonder nel meraviglioso album Music Of My Mind del 1972; i chitarristi esperti nell’uso di questo effetto sono Peter Frampton, Jeff Beck, Joe Walsh e David Gilmour.
Molto simile all’effetto della talk box è quello ottenuto dall’utilizzo creativo del software proprietario dell’Antares Audio Technologies, il famoso Auto-Tune, nato per correggere i piccoli errori di intonazione dei cantanti. Sono celebri gli esempi di questo uso creativo da parte di artisti come Cher e i Daft Punk (nel genere della trap l’uso dell’autotune da creativo è diventato strutturale). Con l’Auto-Tune usciamo però dal mondo dei filtri per entrare in quello dei pitch shifters.
Da citare infine, per curiosità, il progenitore di tutti questi dispositivi: la mitica Sonovox, creata da Gilbert Wright nel 1939.