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Didattica del basso elettrico a cura del M° Gaetano Ferrara

WAH-WHA

Tra i primi pedali della storia, già dal nome onomatopeico (ua-ua) ti sta subito simpatico, nonostante la sua relativa semplicità è uno dei prìncipi degli effetti.
Il caratteristico suono che, se applicato alla chitarra, ricorda il pianto di un bambino e che ha avuto il suo apice nella chitarra hendrixiana, viene prodotto da un filtro equalizzatore detto a campana o di picco (peaking filter), la cui frequenza di risonanza centrale (dove il guadagno del filtro è al massimo) è modificabile, entro un range definito generalmente nello spettro dei medio-alti, dall’azione del pedale (che funziona allo stesso modo di un pedale del volume o di espressione). Questi cambi di picco su e giù per le frequenze, determinati dallo spostamento della campana, incontrando le note da voi prodotte producono il tipico suono wha.
In alcuni modelli è possibile controllare il parametro Q che, in un filtro di picco, è quello relativo alla porzione più o meno grande di banda di frequenza coinvolta. Tra le innovazioni tecniche, alcune case produttrici, al posto del classico potenziometro, adottano un sensore ottico che previene l’usura del pedale. È consigliato in genere acquistare pedali wha espressamente dedicati alle frequenze specifiche del basso elettrico (anche se Marcus Miller non sembra essere molto d’accordo).
Apprezzato soprattutto in ambito solistico, tra gli usi di questo effetto in brani celebri non si può dimenticare l’intro di N.I.B. dei Black Sabbath e quello di The Curse Of Baba Yaga degli E,L&P; parte del solo di Chris Squire in The Fish da Fragile degli Yes; la performance di John Wetton in Larks’ Tongues in Aspic, part one dei King Crimson.

DUNLOP CRY BABY BASS WAH 105Q

DUNLOP CRY BABY BASS WAH 105Q

AMT ELECTRONICS WH-1B OPTICAL BASS WAH

AMT ELECTRONICS WH-1B OPTICAL BASS WAH

AUTO-WHA/ENVELOPE FILTER

Come si evince dal nome stesso è un effetto che riproduce automaticamente, senza quindi l’utilizzo di un pedale di espressione, le sonorità del wha-wha. In realtà la situazione è più complessa, con il termine auto-wha si possono descrivere due dispositivi diversi.
Il primo, detto anche touch wah, è il vero e proprio envelope filter (filtro d’inviluppo: l’inviluppo è la forma che descrive l’andamento temporale dell’onda sonora con le sue caratteristiche fasi fondamentali di attacco/Attack, decadimento/Decay, mantenimento/Sustain e estinzione/Release ovvero ADSR) costituito essenzialmente da un envelope follower (EF, un circuito che risponde all’intensità del segnale in entrata, è sensibile cioè alle variazioni di picco), che invia le informazioni delle variazioni di ampiezza dell’onda (dell’inviluppo) al nostro peaking filter, tipico del wha. A seconda della dinamica del tocco sulle corde (quanto forte o piano si pizzicano o plettrano le corde) il picco della campana si sposta tra le frequenze realizzando l’effetto wha al posto del pedale. Il parametro della sensibilità (sensitivity) determinerà il grado di reazione al vostro input da parte del circuito. La maggior parte degli auto-wha appartengono a questa categoria a partire dal capostipite, il mitico Mu-Tron III, prodotto per la prima volta nel 1972, a cui sono legate le performance al basso di Bootsy Collins e quella al clavinet di Stevie Wonder in Higher Ground; al DOD FX25 apprezzato da Bill Laswell e Flea; fino ad arrivare al compatto MXR M82 Bass Envelope.

STEVIE WONDER & MUSITRONICS MU-TRON III

STEVIE WONDER & MUSITRONICS MU-TRON III

Nel secondo caso invece al posto dell’envelope follower abbiamo l’oscillatore a bassa frequenza (LFO: Low Frequency Oscillator), un circuito che genera cicliche variazioni dell’ampiezza dell’onda che, sempre in combinazione con il peaking filter, realizzerà automaticamente il solito spostamento del picco tra le frequenze nel registro medio.
L’auto-wha è un tipico effetto di confine, nel senso che è vero che il filtro equalizzativo svolge un ruolo decisivo (e quindi rientra nella categoria effetti EQ/filtri), è vero anche che il parametro su cui agisce sono le variazioni di intensità delle frequenze (e quindi appartiene alla categoria più grande degli effetti di dinamica), ma è altrettanto significativa la presenza di dispositivi come l’envelope follower (EF) e, soprattutto, l’oscillatore a basse frequenze (LFO) che collocano questo effetto nella complessa famiglia degli effetti di modulazione e di sintesi.
Altre belle linee di basso bagnate di auto-wha si possono trovare in grande quantità nei brani dei Red Hot Chili Peppers come Falling Into Grace, Coffee Shop, 21st Century o in quelle degli Infectious Grooves come What Goes Up. Da segnalare anche il sorprendente funk di Snip Snap con al basso l’italiano Fabio Pignatelli dei terrorizzanti Goblin.

TALK BOX

Consente di modulare, attraverso un tubo di plastica infilato in bocca, il suono di uno strumento, solitamente la chitarra, con quello della voce umanizzandone il suono. L’effetto è simile a quello del wha (o anche del didgeridoo), l’espressività del pedale viene realizzata da quella più diretta del movimento della bocca e inoltre si possono far sentire le parole. Il lavoro del filtro lo fa quindi la bocca modificando la sua forma. Il risultato può ricordare quello del vocoder che però è invece un vero e proprio (robotico) effetto di sintesi.
La talk box contiene un altoparlante per i toni acuti particolarmente efficiente detto driver a compressione, in cui viene inserito il famoso tubo vinilico che poi va in bocca, il suono dello strumento (chitarra o sintetizzatore o altro), dopo essere passato per il driver entra nella bocca dove viene modulato per poi essere ripreso da un microfono e quindi essere convogliato all’amplificazione.
Modelli di punta per questo effetto sono l’Heil Talkbox della Dunlop, il Rocktron Banshee 2, l’Electro-Harmonix Golden Throat e la solita agile e pratica MXR M222 Talk Box.
Tra i primi nella musica moderna ad usare la talk box, abbiamo il pioneristico Stevie Wonder nel meraviglioso album Music Of My Mind del 1972; i chitarristi esperti nell’uso di questo effetto sono Peter Frampton, Jeff Beck, Joe Walsh e David Gilmour.
Molto simile all’effetto della talk box è quello ottenuto dall’utilizzo creativo del software proprietario dell’Antares Audio Technologies, il famoso Auto-Tune, nato per correggere i piccoli errori di intonazione dei cantanti. Sono celebri gli esempi di questo uso creativo da parte di artisti come Cher e i Daft Punk (nel genere della trap l’uso dell’autotune da creativo è diventato strutturale). Con l’Auto-Tune usciamo però dal mondo dei filtri per entrare in quello dei pitch shifters.
Da citare infine, per curiosità, il progenitore di tutti questi dispositivi: la mitica Sonovox, creata da Gilbert Wright nel 1939.

DUNLOP HT1 HEIL TALKBOX

DUNLOP HT1 HEIL TALKBOX

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